La tristezza è un’emozione potentissima e persistente
Ecco una parabola buddista che spiega la necessità di accettare la tristezza:
“Una donna aveva perso il figlio e non riusciva a farsene una ragione.
La donna portava in giro il cadavere del bambino. Nella disperata ricerca di qualcuno che potesse restituirglielo sano e salvo. Giunta al cospetto del Buddha lo implorò di aiutarla. Il maestro le disse che poteva aiutarla se avesse raccolto dei semi di senape con cui preparare la medicina. Lei accettò subito, ma poi il Buddha le spiegò che quei semi dovevano provenire da una casa in cui non era mai morto nessuno. Quando si mise alla ricerca dei Preziosi semi di senape che avrebbero potuto salvare il suo bambino, la donna scoprì che non c’era casa in cui non fosse venuto a mancare un genitore un coniuge un figlio. Resasi conto che non era l’unica a soffrire poté infine seppellire il bambino nella foresta e uscire dal suo stato di disperazione”.
La tristezza
La tristezza è un’emozione potentissima e persistente.
Alcuni studi hanno rivelato che la tristezza tende a protrarsi molto più a lungo di altre emozioni, pare che, mentre la paura dura mediamente mezz’ora, la tristezza dura spesso fino a 120 ore ossia quasi 5 giorni.
Siamo sempre sollecitati ad accettare tutte le nostre emozioni perché hanno un ruolo necessario nella nostra vita.
E se è vero che le reazioni di attacco-fuga (quindi la rabbia e la paura) sono delle risposte a delle minacce o ad una mancanza di sicurezza,
e quindi ci servono poi per poter ripristinare questo senso di sicurezza (andando a modificare la situazione o allontanandosi), a livello evoluzionistico qual è lo scopo della tristezza?
Lo psicologo Joseph Foregas ha effettuato degli Studi sulla tristezza.
Nei suoi studi ha dimostrando che una tristezza “moderata” può avere dei benefici che potrebbero chiarire il senso evoluzionistico di questa emozione.
Nei suoi esperimenti i soggetti tristi che partecipavano, infatti, avevano giudizi più equi e ricordi più vivi, erano più motivati, sensibili alle norme sociali e generosi rispetto invece ai membri del gruppo di controllo composto da soggetti felici.
Questo ha fatto dedurre che una tristezza di breve durata potrebbe generare più empatia e più generosità.
Durante un gioco a cui sono stati sottoposti partecipanti, che comportava, tra le altre cose, il dover decidere quanti soldi attribuire a se stessi e quanti agli altri, i soggetti tristi regalavano ai colleghi somme nettamente superiori.
Da qui la deduzione che la tristezza moderata potrebbe renderci veramente più empatici e più attenti al prossimo.
Se troppo profonda, come la depressione, invece crea un autoreferenzialità patologica.
Una tristezza moderata invece e l’emozione che più ci induce all’aiuto reciproco e alla solidarietà.
La tristezza
Il neuroscienziato Richard Davidson ha individuato quattro circuiti cerebrali indipendenti tra loro che influenzano il nostro benessere.
- Il primo presiede alla capacità di mantenere degli stati d’animo positivi;
- Il secondo controlla la nostra capacità di riprenderci dagli stati negativi;
- Il terzo,essenziale per gli altri, coordina la capacità di concentrarsi e di evitare le divagazioni della mente;
- Il quarto e ultimo circuito determina la capacità di essere generosi.
Il fatto che abbiamo un intero circuito cerebrale dedicato alla generosità è stupefacente!
Infatti il nostro cervello si sente molto appagato quando aiutiamo gli altri, quando veniamo aiutati dagli altri o vediamo qualcuno che viene aiutato.
La tristezza
La tristezza, quando la proviamo in maniera moderata, quando proviamo quel velo di malinconia, ci rende capaci di fornire non solo una maggiore comprensione a noi stessi, ma anche agli altri.
Accettando e comprendendo la sofferenza e la tristezza degli altri, realizziamo in maniera ancora più lucida che queste sono delle inevitabili componenti della vita.
Certo provare dei sentimenti di tristezza è inevitabile perché nella vita ci sono molte situazioni che ci possono rendere tristi, e apprezziamo ancora di più la gioia proprio perché conosciamo la tristezza, ma questo non vuol dire che dobbiamo rimanere a lungo in tale stato d’animo.
Nella pratica clinica appare evidente che molte cose che sono la causa della nostra tristezza e della nostra infelicità le creiamo noi stessi.
Ovvero sono una conseguenza delle tendenze negative della mente, della visione del mondo che abbiamo e delle conseguenti reazioni emotive.
E spesso siamo incapaci di utilizzare le risorse che abbiamo dentro di noi.
Ovviamente non sto parlando di una sofferenza legata a calamità naturali che non possiamo controllare, ma di quelle in cui siamo co-creatori più o meno consapevolmente.
Vi suggerisco di seguito una breve meditazione che trasforma la tristezza lieve in apertura del cuore e gioia:
- mettiti seduto comodamente o sdraiato se sei certo che non ti addormenterai
- chiudi o socchiudi gli occhi
- rilassa gradualmente il corpo e fai dei respiri profondi
- ricorda tre aspetti della tua giornata per cui sei grato
- rivedili con calma, va bene qualunque cosa, e senti la gratitudine crescere dentro di te per queste cose
- puoi anche annotarle su un diario, in questo caso cerca di essere il più possibile specifico nel descrivere ciò di cui sei grato
Quando portiamo la nostra attenzione sulle cose per cui essere grati, riduciamo sensibilmente il tempo che passiamo nello stato d’animo triste.
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